Benedetto Verdiani |
Io ho conosciuto mia moglie quando ero ancora studente in quel famoso istituto privato "Vittorio Veneto"; io facevo il Magistrale Superiore e lei faceva il Magistrale Inferiore. E ci siamo conosciuti, ci siamo frequentati fino allo scoppio della guerra anzi vi devo dire una cosa molto importante: io durante la guerra prima che partissi militare, lavoravo alle dipendenze della GIL cioè Gioventù Italiana Littorio. Il passato regime, per togliere questi ragazzi dalla strada, aveva quelle specie…. insomma non erano scuole, insomma (erano) trattenimento. E io stavo con questi alunni, con questi ragazzi nel palazzo dove adesso ci sta il teatro "Politeama", nell'ìinterno ci sono dei locali, ci sono dei giardini che poi da lì si scende e si va a piazza dei Martiri. Là mi sorprese il bombardamento, il primo bombardamento americano del 4 novembre che distrusse mezza Napoli. Prima intervenivano gli inglesi, stavano delle nottate intere menavano sette, otto, dieci, quindici bombe ma la maggior parte non scoppiavano. Noi tutti quanti fuori a guardare gli aerei che volavano a batteria che sparavano eccetera. Quando so' passati gli americani, in un minuto, un passaggio hanno fatto, hanno buttato bombe per tutta Napoli e sono morte migliaia di persone. Le navi, nel porto stava mio cognato... il fidanzato di mia sorella; la nave sua, il "Duca degli Abruzzi" mi pare, la nave appresso sfondata, la sua si salvò perché non venne colpita; mio padre che stava nelle ferrovie nelle officine, sgombrarono le officine, lui stava nel ricovero. Mia madre che stava a Piazza Guglielmo Pepe, fu colpito il bacino proprio a cinquanta metri; io che stavo là sopra al Monte di Dio, cade una bomba proprio nel giardino affianco. Mi ritiro a casa a piedi, naturalmente, passo sotto la casa della mia fidanzata e vedo tutto 'o palazzo scheggiato da sopra a sotto. Naturalmente partimmo subito, dopo due tre giorni, partimmo, ce ne andammo al paese, io me ne andai al paese e della mia fidanzata non ho saputo niente più perché si sono rotti tutti i rapporti.... Ci siamo incontrati dopo tre anni, il giorno dell’Immacolata a Mezzocannone e abbiamo attaccato un’altra volta. Dopo due, tre anni ci siamo sposati, abbiamo avuto due figli; io ho fatto carriera; allora lavoravo ancora in quel cantiere navale. Poi sono entrato nella scuola, mi so’ laureato 'a prima volta, tenevo un figlio; (poi) mi so’ laureato a Salerno, tenevo il secondo figlio. Poi ho fatto le abilitazioni; prima si faceva merito distinto, ho fatto tutti i concorsi meriti distinti; quindi ho accorciato finanziariamente la carriera di molto [...] allora c’era lo scatto biennale. Ora non so come funziona. E questa è la mia famiglia; io e mia moglie siamo stati (insieme) più di quarant'anni. Mia moglie è morta nel 1992. Io mi sono sposato nel 1948, quindi 1992 so’ quarantatre, quarantaquattro anni di matrimonio. [...] Questa è una vita, è un’esistenza non male, insomma, non c’è niente di straordinario. Ho avuto due figli: il maggiorenne, il più grande, da piccolo è stato malato con un orecchio, ma mi ha fatto passare i guai, stava proprio inguaiato stava proprio... all’orecchio, con pochissima voglia di studiare. Ha fatto la scuola media, tre anni li ha fatti in cinque anni perché allora, pure con cinque si veniva bocciati. Voleva fare il geometra, ha frequentato il geometra; due anni li ha fatti in tre anni. Insomma poi, naturalmente, non fu più cosa, fidanzamento, cose... L’altro figlio, invece, il più piccolo, uno sgobbone, da mattina a sera sopra ai libri. E’ stato alunno del professor Lovasto, un bravo professore pure un collega della scuola "Leopardi". Nella scuola io conoscevo una collega che era la moglie di uno dei Fabbrocini. Io mi raccomandai a lei per vedere se poteva piazzare mio figlio nella banca. Lui studiava già matematica; mi consultai: "Tu vuoi andare nella banca così… così." "No, papà, io devo fare il professore di matematica." Allora si è arreso quando ha fatto il professore di matematica. Ha cominciato prima con le "Scuole Pie", poi ha fatto il concorso, è stato uno dei primi, ha vinto il concorso della scuola media. Dopo tre anni il concorso nelle scuole superiori; è stato uno dei primi. Mo’ insegna al "Vittorio Emanuele" al semiconvitto. L’altro mio figlio è entrato in ferrovia, un posticino umile umile in ferrovia. Quando si è reso conto che senza titolo di studio non poteva fare niente, si è pigliato il diploma di geometra privatamente. Adesso è un pezzo grosso delle ferrovie. Il mio lavoro? Sentite, non per vantarmi, adesso c’ho una certa età, sono negli anni anta, anzi gli anta li ho superati cinque volte: quaranta, cinquanta, sessanta, settanta, ottanta. Posso dire di essere stato un grande lavoratore [...]. La scuola, una rappresentanza, le lezioni private, e tutte le sere che ha creato il Padre Eterno, tranne la vigilia di Natale, dalle nove di sera a mezzanotte, nello Sferisterio. Stavo al totalizzatore, cioè facevo i conti delle vincite... Allora Fuorigrotta era un po’ "Las Vegas" di Napoli. Infatti i napoletani, nel pomeriggio, andavano all’Ippodromo che si apre verso le tre, le due, non mi ricordo, dopo l’Ippodromo andavano al Cinodromo, ai cani, dopo il Cinodromo venivano nello Sferisterio. C’era gente allora, che la famiglia non la vedeva mai. Andavano a lavorare la mattina negli uffici, alle due erano liberi, alle tre l'Ippodromo era aperto, apriva. Ho conosciuto gente nello Sferisterio che non avrei mai potuto immaginare. Gente, per esempio, prima di tutto un giocatore incallito non dice mai che perde; dice sempre che vince però non tiene mai una lira in tasca, è chiaro? Una sera, al principio che lavoravo là dentro, stavo alla cassa, venne uno da me: "Ragionie’- eravamo tutti ragionieri allora - giocate questo, questo e questo". Io stacco i biglietti, glieli do e questo non mi pagava; "Mo’ vi porto i soldi", mi rivolgo all’amico che stava lì vicino: "Com’è?" "No, c’e’ può da’, lo conosco io, garantisco io…" "Ah, va be’". Torna questo dopo un quarto d’ora, venti minuti, mette le mani in tasca, un mucchio di banconote sul banco, mi paga e se ne va. Io, rivolto all’amico dissi: "Ma chi è questo? Come ha fatto? Nun sai niente?" "Sai chisto chi è? Chillo ‘ncoppa a Domiziana tene tre femmene. Chillo andava, le svuotava." Quelle poverine stavano in mezzo alla strada a vendersi e chillo stava nello Sferisterio a sperperare denaro [...] Dunque la mia attività di scrittore, io ho avuto il pallino della poesia da quando ho incominciato a interessarmi delle ragazze. Però ero un poeta, allora, perché mo’ mi sembra una parola grossa. Molto romantico sono stato io, sempre molto romantico. Ma non è come oggi che l’amore si vede solo dal sesso. Io al sesso... io ero impregnato ancora dei poeti del Dolce Stil Novo, di Dante, Beatrice, e di quel tempo c’ho ancora qualche ricordo. Qualche poesia scritta, però, fin da allora rispettavo un po’ la metrica perché, siccome ho frequentato gli studi classici, già in seconda ginnasiale mi hanno fatto studiare la metrica di Ovidio e di Tripulla. Poi so’ passato alle scuole superiori e ho fatto la metrica italiana; però mi sono accorto che la metrica non è una materia da studiare: è una materia da inventare. La metrica è un po’ come le note musicali, le note musicali sono sette e con quelle selle note musicali si fa una canzonetta. E Wagner ha composto la nona sinfonia: le note sono sempre quelle. La metrica, sì ci sono delle regole di metrica, ma poi ognuno segue la metrica a modo suo: il poeta che sceglie l’esametro, il pentametro... Ho ripreso a scrivere poesie quasi poco prima che andassi in pensione, avevo più tempo libero; i figli si erano sistemati, avevano preso la loro strada, non tenevo niente da fare, mi ero ritirato anche dalle attività che facevo prima e per di più stavo pure in pensione e mi dilettavo a scrivere poesie, là sta tutto un archivio. Io, per lo meno, non dico assai, ma io ho più di trentamila versi composti [...] Quindi ho continuato ancora, po’ ‘a verità mi so’ raffreddato un poco. Sapete perché mi so’ raffreddato? Molto semplice, perché fino a poco tempo fa, il tema dominante delle mie poesie era l’amore, l’amore, la natura... mo’ mi sono accorto che il tema dominante è la malinconia, il pessimismo, l’età che avanza, è chiaro. E allora, invece di scrivere una cosa triste, mi fermo e non faccio niente, anzi vi vorrei leggere l’ultima poesia che ho fatto e vedete la tristezza proprio... [a questo punto il testimone recita alcune poesie di sua composizione] |